Non si parla di portinnesto se prima non si comincia con la fillossera, questo insetto che ha portato tramite i suoi attacchi a una rivoluzione nel modo di concepire la viticoltura oltre che a innumerevoli danni provocati a fine Ottocento.
La fillossera è stata introdotta in Europa dal Nord America con barbatelle infestate nel 1863 ed è arrivata in Italia nel 1879.
Questo insetto attacca le radici delle viti europee e la vegetazione aerea di quelle americane.
Le viti americane superano indenni le infestazioni perché la fillossera provoca solamente delle bolle sulle foglie che non portano a problemi rilevanti alla pianta stessa. Nelle viti europee invece le punture avvengono sulle radici e compromettono la funzionalità dell’apparato radicale fino ad arrivare alla morte della pianta stessa.
Questo fu un grande problema poiché è dalle viti europee che si ottengono le uve da vino, mentre da quelle americane no per motivi di qualità e caratteristiche delle uve stesse, tant’è che le viti con le quali si produce vino in tutto il mondo provengono dalle uve delle viti europee (anche se coltivate in California, Cile, Australia).
La fillossera provocò un’enorme crisi per la viticoltura europea e in Italia furono distrutti oltre 2 milioni di ettari di vigneti e ci vollero più di trent’anni per risolvere il problema.
I terreni sabbiosi erano di ostacolo alla propagazione delle infestazioni della fillossera ed è, infatti, noto che i vigneti impiantati su terreni sabbiosi o in particolari altitudini sono pressoché immuni agli attacchi della fillossera e tutt’oggi possiamo trovare molti esempi di viti a piede franco non innestate.
Restava però il problema di combattere questo insetto nei restanti terreni italiani, prevalentemente argillosi o comunque non sufficientemente sabbiosi e in altitudine.
Prima dell’avvento della fillossera le viti erano a piede franco, ovvero la parte radicale e la parte aerea della vegetazione della vite appartenevano a un’unica pianta.
Dall’arrivo di questo insetto in Europa i viticoltori furono obbligati a utilizzare dei portinnesti sulle viti europee. I portinnesti erano viti americane utilizzate per la parte radicale che venivano poi unite alla parte superiore, chiamata nesto, che rimaneva di vite europea essendo l’unica dalla quale si potevano produrre uve e, successivamente, vini di qualità.
La funzione dei portinnesti consiste nel permettere alla vite di resistere ai parassiti come la fillossera, ma anche per adattare la pianta alle varie caratteristiche dei terreni e dei climi in cui viene a trovarsi per esempio dei portinnesti per climi siccitosi, per terreni fertili, per terreni calcarei.
In Italia sono ammessi alla coltura 31 portinnesti diversi di cui 6 quelli maggiormente utilizzati dai viticoltori in base alle loro esigenze.
L’utilizzo del portinnesto non porta a una modificazione del gusto delle uve o del vino, che rimangono fedeli al nesto composto dalla varietà di vite europea, anzi permettono solo di complementare con le loro caratteristiche una produzione rispondendo alle varie esigenze dei territori e dei viticoltori.
Negli ultimi anni si stanno facendo largo numerosi ricerche, sperimentazioni e vini derivanti proprio da nuove varietà, dette PIWI, resistenti alle malattie fungine e che stanno portando a interessanti risultati agronomici anche se è un fenomeno ancora ristretto a poche zone per numerosi fattori tecnici che non potrei riassumere qui in poche righe.
Attraverso la soluzione dei portinnesti i viticoltori d’Italia, e in generale di tutto il mondo, riuscirono a contrastare i danni della fillossera e a conservare il patrimonio vitivinicolo con le viti autoctone che poterono continuare a produrre uve da vino.
Questo è uno dei primi passi che si deve fare quando si sceglie di piantare un nuovo vigneto: scegliere il portinnesto e la varietà di vite da impiantare.